Rosa

Storia di:

Illustrazione originale di Lorenzo Lodovichi

Gli occhi ce li aveva. Come spade. No come spade, come tutto. Occhi per dire tutto. Tondi piatti vuoti secchi aguzzi opachi gonfi. Non cambiavano colore non era uno di quelli a cui cambiava il colore degli occhi.

Il colore. Soltanto il colore. Il mondo era colore, variazioni impercettibili e commistioni e pastrugni e blocchi e defusioni. Forme certo ma colori, colori innanzitutto. Il mondo le persone no le persone la vita nelle persone la vita nel mondo era colore. Questo era il vocabolario che portava con sé in una cartella che non sapeva si chiamasse cartella.

Sordo lo si era capito dalla nascita – non girava gli occhi al richiamo di mamma e papà. Guardava prima la luce forte poi contrasti poi i gialli poi i viola guardava poi i pattern, con le dita scorreva sui pattern i suoi occhi si facevano pianeti. Occhi pianeti nei suoi pianeti un cosmo, nessuna parola da dirsi, un universo di parole.

Le speranze del nucleo familiare si erano avvolte attorno ai logopedisti come fili di ferro su mazzetti di primule. Si erano sbracciati più che potevano: diagnostica, valutazioni psicologiche, trattamenti sperimentali. I primi tre anni si erano consumati come vigilie eterne di un Natale senza nascita. Bruno non diceva una parola. Mai ne avrebbe detta una.

Quegli occhi però. In quegli occhi, paragrafi e note a piè di pagine, e neologismi, triplette, endecasillabi, pentametri giambici, canzonacce e canzonette e canti lirici! E poi emozioni, emozioni senza nome senza capo senza coda guardava gli animali e con gli animali si raccontava storie e respiravano insieme come se stessero facendo un comizio. Bruno parlava da quando apriva gli occhi a quando non si chiudevano proprio non si chiudevano.

Non si chiudevano, occhi sempre aperti, notte sola e di ovatta, una vuotezza senza contorno in questa sala da cinema buia in replay continuo il colore di un fiore di un marciapiede, Veronica Luna Polo aveva una lentiggine rossa sulla guancia destra in prima elementare, il giallo del croissant della Panetteria del Santissimo Redentore era leggermente saturo, la fluorescenza delle luci del semaforo che rifrangeva sulle strisce pedonali come se fossero raggi di lune, il verde di quell’arbusto in giardino diceva ho bisogno di aiuto ma di quale aiuto? Tutti i colori parlavano e dicevano e la notte correva così, viva e troppa.

Oggi, grande, grosso e stretto come una scala a pioli, non aveva mestiere. Poteva averlo: il suo corpo era sano ed abile, capace di svolgere le funzioni autonome in piena competenza. Ma a che pro? Per lui vivere era lasciarsi colorare dalla vita, e nel susseguirsi di questi colori, cercava di dare un senso al suo tempo. Pensava, sì certo che pensava, ma non sotto forma di pensieri. Piuttosto di analogie tra oggetti che aveva visto un pomeriggio in un negozio cinese e poi sul cornicione di un edificio alto alto, quasi sul tetto. Ingranaggi, meccanismi, misurazioni. In assenza di linguaggio la mappatura della sua realtà avveniva per somiglianze.

Lei non sapeva che nome avesse né avrebbe potuto capirlo. Quando diceva il suo nome lui le guardava le labbra stringersi poi tendersi poi farsi sottili. Sullo sfondo quadrati bianchi e duri, tutti in serie come una catena montuosa. Poi ricordi di quel pomeriggio passato al caffè a scrivere sulla carta così ruvida così non carta di nuovo il nome le sue lettere ma niente niente niente Bruno che non sapeva di esser Bruno che non sentiva il suo nome che non lo diceva Bruno che era Bruno esseva Bruno esseva continuativamente Bruno vedeva l’inchiostro blu e pensava “questo colore come quando gli alberi diventano di quel colore prima del cielo”.

Ma sapeva che era lei perché quando le si avvicinava per abbracciarla, non solo la cappella nei boxer diventava rosa rossa viola blu turgida come quella di un animale, ma perché i suoi occhi trovavano una forma di pausa, di risposo. Rimanevano fissi. I colori della periferia della faccia del collo del corpo improvvisamente scomparsi un cerchio che si stringe attorno al suo volto, nemmeno tutto il volto, prima l’occhio sinistro, poi l’occhio destro, poi ancora quello sinistro, poi quello destro, mai tutte e due assieme. Aveva imparato, nei mesi –mesi che forse erano giorni secondi, di certo non era buio, la notte non era ancora nata – in cui si erano guardati, la precisa geometria dei colori nelle sue iridi. Non riusciva a smettere di guardarla. La prima volta che le tolse le mutande – federe polverose travi di legno con i chiodi che bucavano le calze, bicchieri di vetro spessi e in un angolo un porta cenere in ottone ossidato – gli occhi gli si misero a bruciare per l’intensità del colore. Era un colore come una giungla e come una tomba e come un lago.

Chiamava, era un colore con una voce che lo chiamava. Come era possibile? Come era possibile che lui sentisse? Era questo il suono? Un colore così potente da far vibrare i timpani? Appoggiò la bocca. Poi strofinò il naso. Si mise come a premerle addosso con la fronte, sentiva la pelvi di lei ed era calda come un’incudine. Stava arrivando a qualcosa ma non sapeva cosa. Poi sentì una calma nuova diffondersi per il sistema nervoso, lontana dall’addormentamento, più simile al modo in cui i vestiti cadono sui manichini. Girò la faccia e fece in modo che il clitoride andasse ad occludere il meato dell’orecchio destro. Lì si fermo di nuovo. Si incurvò come fanno i gamberi alla cottura, prendendo il ginocchio destro di lei tra le proprie gambe.

Cominciò a strofinarsi, il ginocchio di lei il cazzo di lui il ginocchio di lei il cazzo di lui pelle contro pelle pelle su pelle pelle nella pelle calore sempre calore sempre più calore l’orecchio caldo bollente spingeva l’orecchio l’orecchio era spinto spingeva l’orecchio l’orecchio era spinto. Rotto il silenzio non silenzio della stanza da un urlo senza lettere, corto come un osso, greve come un dolore, ma forte, forte, assordante. Gli era uscito dalla pancia come un bambino, come un amore.

Era venuto, lei no.

Gli sussurrò: “guardami, amore, guardami ora”.

Lui non sentì niente.

Qualche secondo riemerse come da un sonno con il mento la fissò.

Salì per baciarla sulla bocca, ma no. Succhiò l’occhio sinistro poi il destro.

Poi ancora quello sinistro poi quello destro.

Con gli occhi chiusi lei fece per parlare ancora, poi si zittì, guardò, vide: rosa ovunque.

  • Te l’ho data

    Te l’ho data

  • Bianca, come una mosca

    Bianca, come una mosca

  • Cessica

    Cessica

  • Bramire

    Bramire

  • Bzzz

    Bzzz

  • Invisibile, ovunque

    Invisibile, ovunque